La chiesa di San Domenico a Perugia è uno specchio delle vicende cittadine. Un grande contenitore di storie, che ci vengono raccontate non solo dalle presenze ma anche dalle tantissime assenze che ne costituiscono l’anima.
La prima grande assenza è la chiesa stessa. Quel che vediamo oggi dall’alto della Rocca Paolina, con la sua mole che invade il panorama, con il suo alto campanile mozzato da Paolo III, non dice il vero. La grande chiesa gotica dei domenicani crollò nel seicento e questo enorme edificio è una ricostruzione che non ricorda in nulla l’edificio gotico che doveva sorprendere i molti che lo visitavano e frequentavano.
Fu la chiesa della borghesia mercantile che nel ‘400 ne arricchisce gli interni: Lippi, Bonfigli, Angelico e molti altri importanti artisti hanno prodotto grandi opere commissionate dalle importanti famiglie perugine ma non più nell’edificio. A poco a poco svuotata, fatta a brandelli, usata per le truppe al soldo del potere di turno. Attraversando quello spazio enorme, nella luce soffusa e colorata che entra dalla bellissima vetrata, ci accolgono le presenze, le opere rimaste a far da sentinelle della grandezza che fu: il monumento funebre a Benedetto XI, grande protagonista della costruzione di questa chiesa, la seconda dei frati predicatori nel borgo bello, il gonfalone della Beata Colomba di Giannicola di Paolo, le storie di San Pietro Martire di Cola di Petruccioli, l’altare di Agostino di Duccio.
San Domenico ricorda anche, nella sua grandiosità il potere dei predicatori, non per nulla la piazza antistante venne intitolata a Giordano Bruno: i grandi inquisitori del papa, la lotta all’eresia, le streghe e i roghi.
I grandi monumenti sono la somma dei segni, della storia della collettività che in essi e con essi è convissuta. Le pietre, le architetture sono espressione degli uomini che le hanno volute, amate, odiate, trasformate.